“E pensare che una volta avevo paura dell’acqua”

Citazione finale dal film LO SQUALO

Tutto finisce al largo, lontano dalla costa, dal porto sicuro, finisce lì perché ci spingiamo dove non si tocca e dove siamo vulnerabili ma spesso non c’è qualcuno o qualcosa che ci obbliga ad andare in alto mare, è la nostra paura o il nostro coraggio che prendono il sopravvento su quello che pensiamo normalmente per tutta una vita.

Che poi paura e coraggio sono la stessa cosa, non semplicemente due facce della stessa medaglia, ma proprio la stessa identica cosa che chiamiamo in due modi diversi a seconda di ciò che decidiamo di affrontare oppure di continuare a temere.

Se ci spingiamo al largo non è per vedere la costa da lì, nemmeno per provare l’ebbrezza di un’avventuroso viaggio. Viaggiare quella sì che è un’altra cosa, ma per farlo abbiamo bisogno di un itinerario, di scoperte da fare e incontri.

Andando in alto mare, invece, ci allontaniamo da tutto questo per cercare il nemico. Non un nemico comune, una di quelle persone che ci mettono uno sgambetto nella vita, ma uno capace di ucciderci, di darci la morte, di divorarci almeno qualche arto.

Balene bianche o squali si addensano nella nostra coscienza, li inseguiamo nel loro ambiente per venire fuori una volta per tutte dal nostro.

Perdiamo una gamba al primo confronto. Fa niente, non ne abbiamo ancora abbastanza. No, non è un istinto suicida, sappiamo che quella bestia dalla dentiera aguzza nel suo stomaco conserva la nostra morte e tutto quello che vogliamo da quel momento in poi è guardarla senza morire del tutto, per farlo siamo disposti a farci mordere e depezzare, l’importante è riuscire a guardare la bestia negli occhi da vivi.

Spesso non ci avvediamo che per raggiungere il largo ci portiamo dietro un intero equipaggio, gente che ci ama, ci odia, ci tollera e che fa quello che fa non per paura o coraggio ma solo per avere una paga e un posto nella storia che racconteremo di noi e che ci vedrà dipinti come irascibili, egoisti, disposti a tutto per ottenere ciò che solo a noi può spettare, ovvero la vittoria e la sconfitta sull’orrida bestia.

Mentre lo scontro volge alla definizione i primi che ci rimettono le penne e che sacrifichiamo senza troppi pensieri, sono proprio quelli che stanno sulla nostra stessa nave. Sono i primi a cadere in acqua, a essere depezzati e spremuti tra le fauci delle bestie senz’anima, perché qualunque sia la bestia alla quale abbiamo deciso di dare la caccia, il corpo di questo essere è pieno di morte e di pezzi di altri esseri umani digeriti senza difficoltà, ma non di un’anima come quelle a cui siamo abituati a rendere conto.

Non possiamo preoccuparci di chi muore al posto nostro, essi stessi non si sono preoccupati abbastanza se sono finiti sbranati o forse non immaginavano che per un posto in equipaggio c’era da rischiare la vita senza aver prima provato la voglia di sfidarla.

La verità è che queste bestie più mangiano, più acquisiscono il gusto di farlo, il piacere del sangue e della crudeltà, del dare la morte a casaccio, cosa c’è di più crudele del morire o non morire senza merito?

Allora almeno rincorriamo ciò che ci è dovuto; quel che ci prendiamo al largo e lontano dagli occhi dei tanti, non è un bottino di guerra è solo la fine.

Certo qualche volta c’è una continuazione, una seconda puntata, ma la prima ha già detto tutto e poi, comunque, finisce anche quella.

Tutto finisce in alto mare, sia noi che le bestie marine che se non muoiono scompaiono, si rendono introvabili perfino a se stesse finendo con il dare forma ai nostri miti classici o pop.

Pubblicato su Le tracce, Nov 9, 2018


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