La parola fine alla stesura del romanzo LE COSE SBAGLIATE è stata messa. Si lavora adesso per editare e correggere ancora qualcosa, per rifinire e impaginare, ma la sostanza della storia e di quello che racconta si è oramai depositata attraverso parole e frasi raggruppate in capitoli, trentotto per la precisione.
Per il 2014 lo sbarco editoriale in edizione ebook dovrebbe, a questo punto, essere qualcosa di più che semplicemente possibile. A maggior ragione che c’è anche un editore interessato a pubblicare questo romanzo proprio in edizione digitale. Per l’edizione cartacea, che sicuramente ci sarà, sto ancora valutando diverse possibilità, in relazione più che altro alle opportunità che si offrono per la distribuzione e vendita anche online del libro in versione classica.
Intanto, volendo regalare ancora uno spiraglio dal quale far penetrare la curiosità di chi mi segue, e ricordando che metto online uno stralcio del primo capitolo di Le cose sbagliate, intitolato “Lettere in valigia”, come al solito senza aggiungere altro, lasciando un velo di incompressibilità alla narrazione che però verrà fugata nei prossimi giorni, prima di Natale sicuramente, quando presenterò in modo più chiaro il lavoro svolto e soprattutto ciò di cui parla l’intero romanzo.
Aggiungo solo che il personaggio che parla in prima persona in questo brano estrapolato è “il catalogatore”…
P.S.: il testo è in fase di editing e questa è da intendersi come una bozza. errori di varia natura sono di certo presenti, ma la materia grezza può avere un suo fascino :-)…
“Mi curo. Per tutto questo e anche per altro esistono farmaci e dottori, ma la guarigione è una forma d’attrazione, un po’ come l’amore, per cui bisogna essere corrisposti. Corrispondere all’attrazione e alle sue regole, corrispondere all’amore che imperversa.
Perché è tutta colpa dell’amore.
Se non amassi mia moglie non avrei bisogno di guarire. Se ci fosse stato dell’amore tra Luc Havan e Jaco Pastorius in quella notte strafatta e ansiogena fuori dal Midnight Bottle Club, Pastorius sarebbe ancora vivo o forse sarebbe solo morto in modo diverso.
Ascolto i suoi cd mentre lavoro. Mando in loop lo stesso pezzo per ore. Mentre trascrivo documenti dei primi dell’ottocento, scorporo la ritmica del suo basso. Resta sempre qualcosa di sospeso.
Havan è uscito dal carcere dopo solo quattro mesi. Pochi minuti per piegare Pastorius e lasciarlo in strada sanguinante alle quattro del mattino del 12 settembre del 1987.
Un posto al centro della storia conquistato annullando il protagonista.
Io so dove abita oggi Havan. L’ho rintracciato e un giorno andrò a bussare alla sua porta, dopo aver toccato con il pollice della mano destra l’etichetta con sopra scritto il suo nome, e me lo troverò davanti. Gli ripeterò il tempo di quel pezzo di Pastorius, il tempo così come Jaco lo creava, ma Havan non capirà.
Non riconoscerà né il tempo, né Pastorius.
Lui mi dirà semplicemente di andare via. Non mi ucciderà. Non uccide più. Tutta colpa dell’amore, perché viene usato sempre nelle dosi sbagliate. O troppo, o troppo poco.
Non c’è corrispondenza che non sia labile e che non utilizzi sfumature e concetti inespressi per crescere, evolversi e diventare spesso qualcos’altro. La fine.
Nel non capirsi c’è tanto potenziale. Un modo di conoscersi di spalle, senza guardarsi negli occhi. Se anche non capendosi si passa insieme parte del tempo che ci resta, è evidente che razza di guaio sia l’amore. Irrimediabile, perché non statico. Non acquisisce una forma comparabile e danneggia ogni tentativo di ricostruzione logica. Piuttosto decostruisce continuamente ciò che ti da.
Nel momento stesso in cui ti sembra di acquisire delle specifiche certezze, ebbene proprio allora, i fili della trama iniziano a diventare visibili per la tua ragione.
Verifichi con impazienza che è un gioco d’incastri.”