Ogni uomo cerca per tutta la vita una strategia che gli permetta di sentirsi in cammino verso la parte migliore di sé. Non c’è nulla di male in questa ricerca, è una maniera di riempire il tempo quando il tempo ci fa sentire la sua presenza, spesso, però, questo genere di movimenti che a pensarci bene sono più sussulti dell’animo che azioni vere e proprie, partono dal presupposto che la strada del miglioramento e della crescita personale sia una strada lineare, altrimenti se non lo è non è la strada giusta.
Emmanuel Carrère è uno scrittore che ha radunato nel tempo e con costanza, tutta la sua creatività letteraria intorno al suo ego, con consapevolezza e anche una certa generosità, aprendo ai suoi lettori scorci sulla sua vita che tenderebbero difficilmente a farlo identificare come uno scrittore di quelli “pacificati” con il proprio essere e con il mondo esterno.
Il suo ultimo lavoro, pubblicato in Italia da Adelphi nel 2021, si intitola Yoga ed è nato, almeno a dire dell’autore che però ci fa capire in questa come in altre occasioni che di lui e della sua versione dei fatti non ci si può fidare più di tanto, dalla volontà originaria di spiegare cosa e come lo yoga, la perseveranza nel praticarlo e il metodo lo avessero aiutato a strutturare il suo percorso verso una felicità posta al termine della strada. Improvvisamente, però, il libro che Carrère stava scrivendo è cambiato, ha imboccato un percorso meno lineare, in alcuni casi il percorso si è addirittura interrotto, una linea spezzata in tanti segmenti, una realtà letteraria smontata dalle circostanze concrete, più forti della letteratura ma non necessariamente in contrasto con la stessa.
Infatti, a far deragliare il progetto originario di Carrère sono stati i cani neri, quei morsi disperati che non avvisano e azzannano proprio i momenti di serenità di ognuno di noi per renderli evidentemente effimeri e destabilizzare così l’idea di felicità che l’età contemporanea ha definito come essenziale e unica fonte di riferimento.
La depressione più acuta e il disturbo bipolare di tipo II che sono nella vita di Carrère e che, in qualche modo, sono la letteratura stessa di Carrère, non l’unica, ma sicuramente una delle forme più esposte del suo mondo narrativo, hanno spaccato ciò che l’autore voleva darci come definitivamente unito. È il definitivo il luogo narrativo che Yoga ,suo malgrado, si trova a dover controbattere, a dover accettare come la non risposta e la vera ma non unica possibilità della scrittura così come della vita stessa di chiunque, non solo di chi si ritrova e si perde con inusitata facilità.
La prospettiva di scrittura di Carrère mette sempre in conto di cambiare la traiettoria della storia che racconta, in Yoga la forza con la quale ciò accade, assume le sembianze di una entità soprannaturale che si impossessa del mondo personale dell’autore, rendendo la sua vita l’antitesi della forma di felicità contemporanea e sbarazzandosi dei cliché modaioli che compongono le melodie fatte di autofiction ed evoluzione personale.
La letteratura ha in Carrère ancora una riconoscibilità dettata dalla costruzione strutturale del testo, dal linguaggio espressivo e da quello simbolico, tutto questo rende possibile che i fatti narrati in Yoga non siano solo la cronaca diaristica di un essere umano, ma diventino il punto d’ingresso, la porta emotiva e temporale, attraverso la quale l’indagine dell’animo umano approda a una dimensione universale, riconoscendo che nell’unità non risiede altro che la difficoltà di essere spezzati continuamente, nella parola, nelle relazioni e nella stessa scrittura.